venerdì 21 dicembre 2007

venerdì 6 aprile 2007

Introduzione al progetto

Nell’ambito del Corso di Teorie del Colore, tenuto da R. Casati presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia durante l’anno accademico 2006-2007, gli studenti sono stati invitati ad elaborare progetti di ricerca per studiare e approfondire alcuni degli argomenti trattati a lezione.
Questo scritto si propone di presentare al pubblico il nostro progetto di ricerca, inserendolo all’interno del dibattito tra relativismo e universalismo linguistico declinato attraverso le modalità di percezione dei colori nei diversi linguaggi, nel nostro caso in tre dialetti del nord-est d’Italia: veneziano, bellunese, friulano della zona di Udine.

Come relativismo linguistico si intende la posizione di chi sostiene che ogni linguaggio possiede termini e concetti diversi, validi solo al proprio interno, né condivisi né condivisibili da individui non parlanti questo linguaggio, poiché questo è concepito come esclusivamente di matrice culturale. Il determinismo linguistico, appoggiato da alcuni relativisti tra cui spiccano E. Sapir e il suo allievo Whorf (tant’è che questa posizione prende il loro nome), considera i concetti e le loro espressioni linguistiche come univocamente determinati, ovvero che la percezione non possa estendersi al di là della terminologia: non si può percepire, né pensare, ciò che non si può nominare.
Viceversa, l’universalismo linguistico, affermato con vigore da N. Chomsky, contrappone l’idea che ogni linguaggio si sviluppa e si distingue, a seconda dell’ambiente culturale in cui cresce l’individuo, a partire da una matrice biologica universale comune a tutta la specie umana.
S. Pinker, allievo di Chomsky, sottolinea che “quando ascoltiamo o leggiamo, solitamente ricordiamo il succo, non le parole esatte, quindi dev’esserci un succo che non è la stessa cosa di una manciata di vocaboli. E se i pensieri dipendessero dalle parole, come potrebbe mai esserne coniata una nuova? Come potrebbe un bambino imparare la prima? Come sarebbe possibile la traduzione interlinguistica?”(1). Ciò significa che l’universalismo distingue i concetti (il succo) dalle parole che li esprimono: differenti parole possono indicare la stessa cosa, lo stesso concetto, lo stesso colore.

A partire dalla rivoluzione chomskyana, gli studiosi B. Berlin e P. Kay intrapresero uno studio per verificare l’esistenza di termini base, atti ad individuare i colori, al di là delle differenze linguistiche. Analizzando i dati raccolti a partire da un numero determinato di termini base per indicare i colori riscontrati in 20 diversi linguaggi, arrivarono a elaborare la loro Teoria dei Termini Base dei Colori (TBC) la quale sosteneva l’universalità dei meccanismi linguistici legati alla percezione del colore e più in generale una semantica universale dei colori (Jraissati 2007).
I due antropologi cognitivisti scoprirono la regolarità nel numero e nell’evoluzione dei TBC (da un minimo di 2 a un massimo di 12). Nel 1976 nacque il World Color Survey, un progetto di ricerca tuttora in atto, con lo scopo di verificare gli assunti di Berlin e Kay, raccogliendo dati su un grande numero di lingue non scritte (ad oggi 110).

La Teoria dei Termini Base dei Colori

Tra il 1967 e il 1968 B. Berlin e P. Kay intrapresero la ricerca che li condusse alla pubblicazione del volume Basic Color Terms (1969). Gli antropologi si proponevano di verificare “se la visione debba essere considerata un fenomeno culturale o se essa sia regolata da caratteristiche universali”(2) attraverso lo studio della terminologia legata alla percezione dei colori in venti diverse lingue. Agli intervistati era chiesto di elencare il numero minimo di parole attraverso le quali potevano nominare i colori, ovvero i Termini Base dei Colori (Basic color terms)(3). In seguito si procedeva alla naming task: ai collaboratori veniva chiesto di raggruppare secondo i propri TBC un campionario di 320 colori. Il campionario consisteva in un set di 320 tessere di colori diversi (esempi di 40 tinte, equamente distanziate, tratte dall’atlante cromatico Munsell(4) , a 8 livelli di luminosità e alla massima saturazione), con l’aggiunta di 9 tessere acromatiche in sfumatura dal bianco al nero.

Poi si passava alla focus task che consisteva nell’indicare, per ogni raggruppamento cromatico, il campione che meglio rappresentava ciascun TBC (focus o colore focale) (Cook, Kay, Rieger 2004). Analizzando i dati raccolti attraverso questo esperimento e altri, inerenti a 78 lingue che trovarono in letteratura, Berlin e Kay giunsero alle seguenti conclusioni:

1) nonostante gli esseri umani possano discriminare tra un’amplissima varietà di colori, le lingue naturali sono caratterizzate da una terminologia cromatica che prevede da un minimo di 2 a un massimo di 12 termini (Palmer 1999)(5).

2) I TBC si sviluppano nelle diverse lingue seguendo stadi evolutivi precisi, ovvero I) Nero, Bianco, II) Rosso, III) Giallo (o Verde), IV) Verde (o Giallo), V) Blu, VI) Marrone, VII) Rosa, Viola, Grigio. Quindi se una lingua è caratterizzata da due termini base per indicare i colori saranno il nero e il bianco, se ne possiede tre saranno nero, bianco e rosso, e così via (Jraissati, 2007).

Gli antropologi riscontrarono inoltre come i colori focali, concordano per le diverse lingue mentre i colori che definiscono le frontiere di ogni categoria cromatica sono molto variabili. Le frontiere vengono definite, all’interno dello spazio del colore composto dall’ordinamento dei 329 campioni Munsell, come i limiti tra i raggruppamenti indicati nel naming task (Cook, Kay, Rieger 2004)(6).

Sulla pregnanza dei punti focali, all’inizio degli anni ’70, lavorò la psicologa cognitiva Eleanor Rosch, sottolineando, attraverso vari esperimenti sui dani della Nuova Guinea e su studenti americani, come l’apprendimento di nuove categorie di colore segua l’apprendimento delle categorie dei colori focali, come avviene nei bambini (Palmer 1999). Rosch propose di guardare ai colori focali come punti di riferimento cognitivo per le categorie di colore, in relazione ai quali gli altri colori vengono imparati e codificati nella memoria (Palmer 1999).
Nel 1975 Kay dovette fronteggiare il problema nato intorno alla cosiddetta categoria del colore «Grue», che potremmo tradurre in italiano come «Vlu», ovvero un colore che comprende il Verde e il Blu, del quale non è stato individuato il punto focale (Jraissati, 2007). Il fatto di non aver trovato il punto focale per «Vlu» portò ad interrogarsi sulla necessità dello studio delle frontiere al fine di capire i meccanismi secondo i quali nei linguaggi affiorano i TBC (Jraissati, 2007). Inoltre ci si interrogò sulla validità della sequenza evolutiva dei colori, così come delineata nel 1969, che non riusciva a comprendere il fenomeno del «Vlu» (Jraissati, 2007).

Il problema delle frontiere venne affrontato, a partire dal 1978, da Kay e Mc Daniel introducendo il concetto di insiemi fluidi dei colori al posto del concetto fino ad ora utilizzato di insiemi standard dei colori (Jraissati, 2007). Questo slittamento permise di risolvere l’enigma delle frontiere, stabilendo che un colore che in passato era stato categorizzato come «Giallo», potesse ora appartenere alla categoria «Giallo» secondo differenti livelli, al massimo dei quali corrisponde il punto focale e al minimo la frontiera. Venne introdotto inoltre il concetto di limite assoluto (Jraissati, 2007). “Il limite assoluto di una categoria è il punto che non può in nessun caso appartenere alla sua estensione, ovvero i punti focali delle categorie adiacenti”(7). Grazie al concetto di limite assoluto venne spiegata la diversa estensione dei colori nei diversi stadi di evoluzione del linguaggio: maggiore è il numero dei TBC in una lingua, minore sarà la loro estensione sullo spettro (Jraissati, 2007).
Arrivati a questo punto, per spiegare come una lingua che possiede solo 2 TBC (Bianco e Nero), arriva a nominare colori che in altri linguaggi sarebbero descritti come giallo, rosso, blu, verde, solamente come o Nero o Bianco, gli studiosi hanno preferito sostituire ai termini Nero e Bianco i concetti di Light/Warm e Dark/Cool (Chiaro/Caldo, Scuro/Freddo), chiamando queste nuove categorie categorie composite (Jraissati, 2007).

Fig. 1. Illustrazione dei primi cinque stadi evolutivi del linguaggio, al primo stadio troviamo linguaggio con due TBC, fino ad arrivare ad una sesta fase con 6 termini. Come evidente dal grafico l’evoluzione prevede che per ogni passaggio di stadio venga aggiunto il TBC successivo a destra(8).

Osservando la Fig. 1, si può affermare che le categorie composite, nei linguaggi allo stadio evolutivo che presenta 5 termini, si siano scisse in categorie fondamentali (infatti troviamo i termini base Bianco, Rosso, Giallo, Nero, Verde+Blu); importante è notare come White/Warm e Black/Cool di fatto fungano da «contenitori» di quelli che sono i colori alla base della «Teoria del processo opposto» di Ewald Hering (Jraissati, 2007). “Le percezioni fondamentali che definiscono le categorie composite, fondamentali e derivate, non sono altro che Nero, Bianco, Rosso, Verde, Giallo, Blu. Ora, questi colori, spiccatamente gli ultimi quattro, non sono altro che i colori sui quali si basa il sistema dell’opposizione cromatica di Hering (Verde/Rosso - Giallo/Blu)”(9).
Nel 1991 si è arrivati teorizzare che di tutte le 63 possibili combinazioni tra i colori puri solamente 8 possano essere raggruppate sotto un unico TBC. Ciò è stato spiegato tramite il diagramma dell’apparenza dei colori, che presenta una divisione dello spazio del colore, che va dal rosso al blu, a livello del giallo (che diviene una sorta di linea di demarcazione) decretando che non possono esistere categorie composite (come ad esempio può essere Verde-Blu) formate da raggruppamenti di colori non adiacenti o formate da colori disposti a sinistra e a destra del giallo (Jraissati, 2007). Per questo motivo la categoria Rosso/Giallo/Verde non può esistere (e infatti non è mai stata riscontrata in nessun linguaggio) e nemmeno la categoria Giallo/Blu perché non comprende il Verde che nel continuum dei colori li divide (Jraissati, 2007). Ad oggi rimane però ancora incomprensibile una nona combinazione (Giallo/Verde/Blu/Nero), che si è verificata ma che non è spiegabile attraverso il diagramma dell’apparenza dei colori (Jraissati, 2007).
Il diagramma giustifica la categoria Giallo/Verde non prevista nella tabella illustrata in Fig. 1, ma effettivamente riscontrata nell’indagine empirica: come collocarla quindi nella sequenza evolutiva? Ecco un’ipotesi di collocazione (Jraissati, 2007):

- Bianco
- Rosso
- Giallo/Verde/Blu
- Nero

Proviamo a ipotizzare lo stadio evolutivo che ha preceduto questa categoria e quello che l’ha succeduta (Jraissati, 2007):

(Si ricordi la regolarità evolutiva dei sottoinsiemi di TBC ben evidenziata nel diagramma della Fig. 1)

Come appena notato attraverso il diagramma dell’apparenza dei colori il Bianco per legarsi al Rosso necessita il Giallo. Quindi il problema permane: a seguito di quale tappa evolutiva emerge la categoria Giallo/Verde? (Jraissati, 2007).
Il problema troverà risoluzione in seguito ai contributi di Lyons (1999) e Levinson (2000). Lyons ha criticato alcuni assunti della linguistica contemporanea, ovvero che in ogni lingua le parole debbano avere un numero prefissato di significati e che ciascuno di questi sia precisamente individuato e individuabile (Jraissati, 2007). Applicando ciò alla Teoria dei TBC si troverebbe che un numero determinato di termini, dal significato nettamente circoscritto, non suddivide necessariamente in maniera congiunta lo spazio del colore all’interno di un linguaggio, ovvero non necessariamente i raggruppamenti cromatici di ogni TBC sono adiacenti nello spazio del colore (Jraissati, 2007).
Lo studio di Levinson riguardante la lingua yélî dnyé (linguaggio con soli 3 TBC: Bianco, Nero, Rosso) ha evidenziato come i termini yélî dnyé relativi a questi colori definiscano delle zone precise e ristrette sul Munsell, zone molto più circoscritte rispetto a quelle di altri linguaggi al II° stadio nel percorso evolutivo dei TBC, che si potrebbero trovare in linguaggi che presentano un sistema di TBC più evoluto (Jraissati, 2007). E’stato quindi ipotizzato che i TBC degli yélî dnyé vadano a identificare rispettivamente un concetto di Bianco, Nero e Rosso, più evoluto rispetto ad altri linguaggi e questo ce lo si spiega solo presupponendo l’esistenza di TBC che ripartiscano lo spazio del colore, in zone non adiacenti, circostanza ancora non contemplata all’interno della Teoria (Jraissati, 2007). Per comprendere all’interno della Teoria anche i termini che non seguono un processo evolutivo lineare bisogna presupporre che il principio di partizione del Munsell per spazi adiacenti non sia universalmente valido per tutte le lingue, andando così a minare uno dei due primi assunti di Berlin e Kay (Jraissati, 2007).
Nel 2000, con la pubblicazione dello studio sul linguaggio berinmo, una popolazione della Nuova Guinea, gli studiosi Davidoff, Davies e Robertson hanno mosso una nuova critica alla Teoria dei TBC (Jraissati, 2007). Ciò che distingue il linguaggio berinmo è il fatto di avere due termini «nol» (che equivale a una serie di verdi-blu-viola) e «wor» (che rappresenta una serie di verdi) la cui frontiera non è delineabile da nessun termine inglese (Jraissati, 2007). Da ciò si deduce che chi parla inglese è avvantaggiato quando deve discriminare tra le categorie verde e blu mentre è svantaggiato per discriminare se un colore dato è «nol» o «wor» (Jraissati, 2007), come avevano già evidenziato decenni prima Sapir e Whorf. Secondo Davidoff, Davies e Robertson, quanto emerso dal linguaggio berinmo, sarebbe la prova del relativismo del linguaggio, la prova cioè dell’inconsistenza di una Teoria che concepisce i punti focali come punti universalmente condivisi, punti a partire dai quali si vanno a delineare le frontiere tra i diversi colori. La loro radicale contro-ipotesi è che siano le frontiere tra i colori a determinare i punti focali e non viceversa (Jraissati, 2007). Se avessero ragione si dovrebbe ottenere che, delineando i punti focali a partire dalle frontiere differenti empiricamente rilevate (punti che non chiameremo più focali, ma geometrici), questi dovrebbero essere diversi per ogni lingua, circostanza che non si è verificata.
Altri studi hanno tentato di dimostrare l’universalità delle frontiere, viste come proiezioni a partire dai punti focali, studiando 4 linguaggi dell’Africa dell’ovest che hanno frontiere simili a quelle del linguaggio berinmo (Jraissati, 2007). Per fare ciò è stato elaborato un modello matematico incentrato sul fatto che i linguaggi si sviluppano a partire da 6 punti focali universali che rispecchiano i sei colori della teoria di Hering (Verde, Rosso, Giallo, Blu, Bianco, Nero) grazie al quale è stato possibile, a partire da questi 6 punti focali primari individuare le frontiere (Jraissati, 2007).
Queste ipotesi però hanno presto trovato degli oppositori, soprattutto alla luce di nuovi studi statistici. Uno studio, focalizzato appunto sul rapporto tra centro geometrico e centro focale di una determinata categoria di colore, ha sottolineato, analizzando la moltitudine di dati finora raccolti, che la dispersione dei centri focali di una data categoria di colore presente in diversi linguaggi è inferiore alla dispersione dei centri geometrici (Jraissati, 2007). Quanto riscontrato evidenzia così l’arbitrarietà dell’ipotesi di Davidoff, Davies e Robertson (Jraissati, 2007).
Nel 2006, Kay, T. Regier, A. Gilbert e R. Ivry hanno avviato uno studio per tentare di spiegare come mai, nonostante le frontiere siano molto variabili, i punti focali rilevati sono universali (Jraissati, 2007). Lo studio è partito dal fatto riconosciuto che all’emisfero sinistro afferiscono tutti i compiti legati al linguaggio. Per quanto riguarda il caso del colore ciò significherebbe che gli stimoli presentati nel campo visivo di destra (CVD), avrebbero accesso preferenziale alle funzioni dell’emisfero deputato al linguaggio (Kay, Regier, Gilbert, Ivry 2006). Gli autori dello studio citato hanno quindi tentato di stabilire:

1) Se distinguere colori che afferiscono a categorie lessicali diverse avviene più rapidamente quando gli stimoli sono presentati nel CVD e vengono quindi elaborati nell’area cerebrale che svolge funzioni linguistiche che accentuerà la differenza percettiva (Jraissati, 2007).

2) Se distinguere colori facenti parti invece della stessa categoria lessicale sia più lento e necessiterà un tempo maggiore quando questi sono presentati nel campo visivo sinistro (CVS) (Jraissati, 2007).

A seguito degli esperimenti fatti, è emerso che quando si tratta di distinguere fra colori di categorie diverse siamo più rapidi se lo stimolo è presentato nel CVD (16 millesimi di secondo in meno rispetto al CVS (Jraissati, 2007), quindi la distinzione è più veloce grazie all’apporto dell’area linguistica. Quando dobbiamo distinguere invece tra colori facenti parte della stessa categoria, se questi ci vengono mostrati nel CVD ci mettiamo in media 11 millesimi di secondo in più che se ci fossero mostrati nel CVS (al contrario delle aspettative), mentre stimoli mostrati nel CVD vengono distinti 30 millesimi di secondo più velocemente se appartengono a categorie diverse che se appartenessero alla stessa categoria (Jraissati, 2007). I dati raccolti proverebbero che nel CVD la categorizzazione dei colori di frontiera avviene attraverso categorie lessicali mentre ciò non avviene nel CVS (Jraissati, 2007).
La terminologia legata ai colori è arbitraria e convenzionale? Le differenze presenti nelle diverse lingue per quanto riguarda i termini legati al colore sono sintomo di differenze cognitive?
Riproponendo le domande chiave intorno alle quali è stata elaborata la Teoria dei TBC di Berlin e Kay (1969), poi evolutasi negli anni fino ad arrivare agli ultimi sviluppi del 2006, sembrerebbe di poter rispondere con un secco «no» alla prima e con un «sì» alla seconda (Jraissati, 2007). Sembrerebbe infatti di poter affermare che le differenze lessicali presenti nei diversi linguaggi sono causa di differenze cognitive solo per quanto riguarda la questione delle frontiere (Jraissati, 2007).
Ad oggi la Teoria dei TBC ha raggiunto uno stadio che appoggia da un lato l’universalismo linguistico, dall’altro però riconosce validità anche ad alcuni fenomeni evidenziati dai relativisti: da un lato troviamo l’universalità dei punti focali, dall’altro la relatività delle frontiere (Jraissati, 2007).
Alla luce dei risultati raggiunti nell’evoluzione della Teoria possiamo dire che la visione coinvolge elementi di carattere fisiologico universale nell’individuazione dei punti focali, mentre le frontiere sono determinate a partire da questi a seconda dell’ambiente culturale in cui cresce l’individuo.

Esemplificazione sperimentale della Teoria: il caso dei dialetti veneziano, bellunese, friulano

Studiando la Teoria dei TBC e la sua evoluzione ne abbiamo seguito i cambiamenti e gli stravolgimenti, le critiche che hanno portato a modificare alcuni assunti, le scoperte e le supposizioni scientifiche che hanno dettato variazioni di rotta e ripensamenti. Quindi, con alcuni esperimenti abbiamo voluto condurre un piccolo test per verificare, attraverso l’esperienza diretta, la solidità delle conoscenze apprese e per mettere alla prova, nel nostro piccolo e senza ovviamente pretese di esaustività, la validità di una complessa teoria, nutrita di conoscenze antropologiche, etnografiche, linguistiche, fisiologiche, cognitive, frutto dello studio e del lavoro di illustri intellettuali di tutto il mondo. Abbiamo perciò indagato tre dialetti del Nord-Est d’Italia, nello specifico il Veneziano, il Bellunese e il Friulano parlato nella provincia di Udine. La scelta dei quali è stata dettata essenzialmente da un criterio di economicità (dato che gli esperimenti hanno avuto luogo a Venezia-Cannaregio, li abbiamo selezionati in base alla possibilità di trovare sul posto tre candidati per ciascun idioma. Abbiamo scelto di lavorare con tre collaboratori per ciascun dialetto perseguendo più che la rappresentatività del campione in termini quantitativi, la sua esemplarità ai fini della ricerca.

I collaboratori sono stati intervistati in un piccolo ambiente (4x2,5 m) illuminato artificialmente (da una serie di lampade al neon poste a distanze proporzionali all’intensità e da una potente lampada alogena per omogeneizzare l’illuminazione totale).

Ciascun rappresentante dei tre dialetti ha svolto i seguenti compiti:

1) Nominare, usando il termine relativo in dialetto, una serie di 120 stimoli colorati(10) presentati uno alla volta seguendo un ordine random diverso per ciascun rappresentante dello stesso dialetto (naming task).


2) Individuare sul Munsell(11) le frontiere delle zone occupate dai colori nominati nella fase precedente e i relativi fuochi (focus task).

Naming task

I dati raccolti sono stati elaborati seguendo il modello del WCS che prevede per ogni intervistato l’elaborazione di un documento con alcune informazioni relative all’intervistato stesso (linguaggio, località, nome, età, sesso) dove vengono elencati i termini relativi al colore utilizzati durante la prima fase dell’esperimento, a cui viene associato un simbolo. Utilizzando questi simboli sono state redatte delle tabelle che mostrano la cartografia dei termini utilizzati. Le tabelle redatte, 3 per ciascun dialetto, sono poi state sovrapposte in modo da ben evidenziare gli insiemi degli stimoli individuati dai tre collaboratori con gli stessi termini.

Bellunese:

1.a: Termini base individuati per il BELLUNESE:

______________________________________________________

#1 #2 #3

01 rosa rosa rosa § | o
02 ros ros ros § | #
03 arancione arancio narantha (§) | ß
04 gial thal panocia (§) | x
05 piselo vertho bise - | !
06 vert vertho vert (§) | %
07 - - vert peth | ^
08 celeste vert vertho blu - | /
09 asuro blu ciaro - | @
10 celeste - celeste | £
11 blu blu blu § | *
12 violeto viola ciaro - | =
13 lilla lilla - | "
14 viola viola viola § | +
15 ciclamino - ciclamin | ç
16 rosa maron gris rosa - | >
17 - - maron | :
18 maronthin besc tera (§) | &
19 grigio gris grigio (§) | $
______________________________________________________

Legenda:
#1=primo collaboratore
#2=secondo collaboratore
#3=collaboratore
In colonna sotto il simbolo relativo a ciascun collaboratore sono trascritti tutti i termini che lo stesso ha utilizzato per nominare i campioni di colore. Con il simbolo § sono evidenziati i termini per descrivere il colore utilizzati da tutti e tre i collaboratori. Nella colonna a destra sono riportati i simboli correlati a ciascun colore.
Per ogni collaboratore è stata elaborata una tabella riportante le coordinate di tutti gli stimoli colorati mostrati (120 campioni). Per ciascuna coordinata è individuabile il simbolo corrispondente alla risposta del collaboratore.




1.b: Cartografia dei termini utilizzati per ciascun collaboratore:

---- Collaboratore #1 ----
| 0 1 2 3 |
| 13579135791357913579 |
| C ooooxxx!%%@@@@@="ooo |
| D oooßxxx!%%%@@££@"ooo |
| E oo#ßxxx%%%%£££**"ooo |
| F ###ßxxx%%%%£££**çooo |
| G ###o&&&%%%/£££**+ooo |
| H ç#>>$$$%%%//£***+oçç |
--------------------------


---- Collaboratore #2 ----
| 0 1 2 3 |
| 13579135791357913579 |
| C ooooxxx!!%@@@@@+=ooo |
| D oooßxx!!%%@@@**@oooo |
| E oo#ßxxx%%%******=ooo |
| F ###ßxx!%%%/*****++"o |
| G ##ßo$&&%%%/*****++o+ |
| H +#>>$$$$%%//****++++ |
--------------------------


---- Collaboratore #3 ----
| 0 1 2 3 |
| 13579135791357913579 |
| C ooooxx%%%%££££££oooo |
| D oççßxx%%%^££££**oççç |
| E çççßxx%%%^******+ççç |
| F #ç#ßxx%%%^^*****+ççç |
| G ###o&&&%%^^*****+ççç |
| H ç##:$$&%^^******+ççç |
--------------------------


1.c: Risultato della sovrapposizione delle tre cartografie:

--------- TOTALE ---------
| 0 1 2 3 |
| 13579135791357913579 |
| C ooooxx % ooo |
| D o ßxx % |
| E ßxx %% ** |
| F # #ßxx %% ** |
| G ## o &&%% **+ |
| H # $$ ***+ |
--------------------------


Veneziano:

2.a: Termini base individuati per il VENEZIANO:

__________________________________________________________

#1 #2 #3

01 rosa rosa rosa § | o
02 rosso rosso rosso § | #
03 arancio naranxa aranciòn (§) | ß
04 xalo xalo xalo § | x
05 xalo verde - xalo verdin | ?
06 verde bisi verde bisi - | !
07 verde verde verde § | %
08 - verde acqua verde acqua | /
09 ceeste ceeste - | @
10 asuro intenso asuro scuro asuro scuro (§) | £
11 ble blu blu (§) | *
12 lila vioeta viola ciaro (§) | "
13 vioa vioa viola (§) | +
14 ciclamino rosa impisà fucsia (§) | ç
15 besc nosea maroncin ciaro (§) | >
16 besc grigio - grigio maron | &
17 grigio grigio - | $
__________________________________________________________

Legenda:
#1=primo collaboratore
#2=secondo collaboratore
#3=collaboratore
In colonna sotto il simbolo relativo a ciascun collaboratore sono trascritti tutti i termini che lo stesso ha utilizzato per nominare i campioni di colore. Con il simbolo § sono evidenziati i termini per descrivere il colore utilizzati da tutti e tre i collaboratori. Nella colonna a destra sono riportati i simboli correlati a ciascun colore.
Per ogni collaboratore è stata elaborata una tabella riportante le coordinate di tutti gli stimoli colorati mostrati (120 campioni). Per ciascuna coordinata è individuabile il simbolo corrispondente alla risposta del collaboratore.




2.b: Cartografia dei termini utilizzati per ciascun collaboratore:

---- Collaboratore #1 ----
| 0 1 2 3 |
| 13579135791357913579 |
| C ooooxx?%!%@@@@@""ooo |
| D oooßxx?%%%%@@@*£+ooo |
| E ooooxxx%%%%=****"ooo |
| F oo#ßxx?%%%%£@**="ooo |
| G o##o>>>%%%%==£*=+ooo |
| H o#oo&$&$$%%%=**==çço |
--------------------------


---- Collaboratore #2 ----
| 0 1 2 3 |
| 13579135791357913579 |
| C ooooxxx!!%@@@@@@"ooo |
| D oooßxxx!%%%@@@£@"çço |
| E oo#ßxxx!%%@@**=="ooo |
| F o##ßxxx%%%/@@@@="çço |
| G o##o>>$$%%/@==@=+çoo |
| H o#$$$$$%%%£@@@=="ooo |
--------------------------


---- Collaboratore #3 ----
| 0 1 2 3 |
| 13579135791357913579 |
| C ooooxxx%%%£££££++çoo |
| D oo#ßxx?%%%*£££££ççço |
| E oo#ßxxx%%%££££=="çoo |
| F ###ßxxx%%%/*££==+çço |
| G ###>>>>%%%/£**==+ççç |
| H +#>>&>&%%%/£*===+ççç |
--------------------------


2.c: Risultato della sovrapposizione delle tre cartografie:

--------- TOTALE ---------
| 0 1 2 3 |
| 13579135791357913579 |
| C ooooxx % oo |
| D oo ßxx %% o |
| E oo xxx %% " oo |
| F #ßxx %%% = o |
| G ## >> %% =+ |
| H # % = |
--------------------------


Friulano:

3.a: Termini base individuati per il FRIULANO:

____________________________________________________________

#1 #2 #3

01 rose rose rosa (§) | o
02 ros ros ros § | #
03 noranse/aranciòn aranciòn aranciòn § | ß
04 gial gial gial § | x
05 verdin/vert clar vert clar vert clar § | ?
06 vert cisaron - - | !
07 vert vert vert § | %
08 vert aghe - vert aga | ^
09 blu aghe - blu aga | /
10 bluett celest asuro (§) | @
11 turches - - | £
12 blu blu blu § | *
13 lila - viola clar | "
14 - viole viola | +
15 ciclamin fucsia violet (§) | ç
16 marronut maròn - | >
17 savalon maròn clar - | &
18 gris gris gris § | $
____________________________________________________________

Legenda:
#1=primo collaboratore
#2=secondo collaboratore
#3=collaboratore
In colonna sotto il simbolo relativo a ciascun collaboratore sono trascritti tutti i termini che lo stesso ha utilizzato per nominare i campioni di colore. Con il simbolo § sono evidenziati i termini per descrivere il colore utilizzati da tutti e tre i collaboratori. Nella colonna a destra sono riportati i simboli correlati a ciascun colore.
Per ogni collaboratore è stata elaborata una tabella riportante le coordinate di tutti gli stimoli colorati mostrati (120 campioni). Per ciascuna coordinata è individuabile il simbolo corrispondente alla risposta del collaboratore.


3.b: Cartografia dei termini utilizzati per ciascun collaboratore:

---- Collaboratore #1 ----
| 0 1 2 3 |
| 13579135791357913579 |
| C ooooxxx?!!@@@**""ooo |
| D oooßxxx??%^*****çooo |
| E oooßxxx!!%^*****"oço |
| F ###ßxx?!%%£*****ççço |
| G ###o>&&?%%£*****"ççç |
| H ç##>$$$?%%//****"çoo |
--------------------------


---- Collaboratore #2 ----
| 0 1 2 3 |
| 13579135791357913579 |
| C ooooxxx???@@@@@++ooo |
| D oooßxxx?%%%@@**++ooo |
| E oooßxxx?%%%*****+çoo |
| F o##ßxx??%%%*****+çço |
| G ###o>&$%%%%*****+ççç |
| H ç#>>$$$%%%%%****+ççç |
--------------------------


---- Collaboratore #3 ----
| 0 1 2 3 |
| 13579135791357913579 |
| C ooooxxx???@@*@@""ooo |
| D ooßßxxx?%%^*/***oooo |
| E oo#oxxx?%%^*****+ooo |
| F +##ßxxx%%%^*****+çço |
| G ###ooo$?%%^*****+ooç |
| H ç##o$$$%%%?/****çç++ |
--------------------------


3.c: Risultato della sovrapposizione delle tre cartografie:

--------- TOTALE ---------
| 0 1 2 3 |
| 13579135791357913579 |
| C ooooxxx? @@ ooo |
| D oo ßxxx? % ** ooo |
| E oo xxx % ***** o |
| F ##ßxx %% ***** çço |
| G ###o %% ***** ç |
| H ç# $$$ %% **** ç |
--------------------------

Analizzando i dati sopra riportati possiamo notare che:

- i soggetti più giovani hanno avuto la tendenza a diversificare maggiormente i termini dei colori utilizzati nelle risposte;

- è riscontrabile un’estrema variabilità delle frontiere dei diversi TBC individuati (come prevede l’attuale stadio evolutivo della Teoria dei TBC);

- nella tabella riassuntiva dei veneziani non appare nessuna tonalità del blu e del grigio, a differenza delle tabelle riassuntive degli altri dialetti;

- confrontando le tre tabelle riassuntive, i tre friulani hanno riconosciuto in maniera più uniforme i colori del munsell, aumentando così, rispetto alle tabelle degli altri due dialetti, il numero degli stimoli comuni a tutti e tre i collaboratori;

- i colori comuni a tutte tre tabelle risultano essere: il rosa, il rosso, l’arancione, il giallo e il verde.

Focus Task

Abbiamo anche prodotto attraverso rappresentazioni del Munsell una visualizzazione dei dati raccolti nello svolgimento del focus task, nella quale sono state campite con i colori pertinenti le zone delimitate dalle diverse frontiere indicate dai singoli collaboratori, ed evidenziati con una X i differenti fuochi da essi segnalati.

Bellunese


Veneziano


Friulano

Analizzando i dati riportati sopra possiamo notare che:

- Per tutti e tre i dialetti i punti focali dei colori base individuati sono molto vicini se non coincidenti (si veda il caso del Grigio per i bellunesi).

- Le frontiere delle zone di colore individuate sono molto variabili ad eccezione di qualche caso, come il Grigio, che nei tre dialetti occupa una posizione similmente circoscritta e, nel caso specifico dei bellunesi, il Ros e il Besc/Marontin/Tera che ha dei confini molto simili in tutti e tre gli intervistati, nonostante sia individuato mediante tre termini diversi.

- Nei soggetti veneziani il Verde e la zona denominata come Asuro/Ceeste/Celeste mostrano frontiere più simili rispetto ai punti focali.

- I colori che i collaboratori dei tre dialetti hanno avuto meno difficoltà a individuare sul Munsell rispondendo al focus task sono stati Giallo, Verde e Blu, mentre quello di più problematica circoscrizione è stato il Viola.

- Tutti i soggetti intervistati hanno circoscritto due zone in alto nel Munsell, una all’estrema sinistra e una all’estrema destra, dove notavano la presenza del colore Rosa (Rosa/Rôse), mentre i due collaboratori veneziani «più anziani», hanno circoscritto una parte più ristretta di Rosa solo all’estrema sinistra del Munsell.


Ciò che possiamo concludere analizzando i dati dei nostri esperimenti è che esiste una sovrapposizione, o comunque un’ampia similarità, tra punti focali nei diversi dialetti e che solo sporadicamente anche le frontiere presentano possibili sovrapposizioni. I dati raccolti attraverso i nostri esperimenti non fanno altro che confermare gli ultimi sviluppi della Teoria dei TBC, arrivata ad una visione capace di abbracciare in un unico modello esplicativo sia l’universalità dei fuochi che la relatività del tracciato delle frontiere, accogliendo così anche l’intuizione di Sapir e Whorf, che avevano evidenziato la stretta corrispondenza tra competenza semantica e percezione cromatica, senza però cadere nel loro ingenuo determinismo.
Il bilancio relativo alla stesura di questo progetto-studio è sicuramente positivo. Abbiamo avuto la possibilità di comprendere, attraverso la ripresa delle tecniche di sperimentazione delineate inizialmente da Berlin e Kay e poi evolutesi nel contesto del WCS, la portata del dibattito sulle caratteristiche del linguaggio, dibattito che rimane aperto e che sicuramente sarà alla base di sviluppi futuri resi possibili dall’avanzamento e dall’implementazione di tutta quella articolata serie di conoscenze in svariati campi (dall’antropologia, alla neurobiologia, alle scienze cognitive) della cui interazione fino ad ora si è nutrito. Grazie a questo progetto di studio abbiamo potuto addentrarci fino a comprendere la complessità di una Teoria che fin dalle origini si è delineata come work in progress, teoria specchio del più ampio dibattito interno alla linguistica, dibattito che anche nel campo della percezione cromatica riflette il mondo più ampio e misterioso del nostro linguaggio, strumento ricchissimo e imprescindibile, che ci permette di essere e manifestarci appieno nel mondo in quanto esseri umani.

Note

(1) Cfr. S. Pinker, (1998), L’istinto del linguaggio, Milano, Mondadori, p. 49.

(2) Cfr. C. Pennacini, (2005),Filmare le culture, Roma, Carocci

(3) Per esser definito «base» ciascun termine deve essere caratterizzato da:
MONOLESSEMICITA’: ovvero formato da una sola parola (SI-verde, bianco, rosso; NO-verde chiaro, bianco sporco, rosso-viola).
SINGOLARITA’: ovvero il suo significato non deve poter essere incluso in quello di nessun altro termine (SI-rosso; NO-scarlatto, cremisi;)
PLURALITA’ (Referenza Cromatica Primaria): ovvero il suo utilizzo non deve poter essere ristretto solamente ad alcune categorie di oggetti o materiali (SI-giallo, NO-biondo, oro, lime).
ASSIDUA FREQUENZA: ovvero i TBC devono a) essere frequentemente utilizzati nel linguaggio b) essere individuati chiaramente dalla maggioranza delle persone (alcuni termini ad esempio vanno a definire una vastissima gamma di verdi usata dai textile designer –vescica, salvia, pino- ma che raramente la gente comune riesce a definire, individuare, identificare con facilità) c) essere presenti nel vocabolario di ogni intervistato afferente ad una determinata lingua.

(4) Un atlante standard dei colori , elaborato dal teorico del colore A.H. Munsell (Libro dei colori di Munsell) che contiene 1600 esemplari cromatici.

(5) Ovvero 11 TBC presenti anche nella lingua inglese più un termine che identifica il blu chiaro, in italiano azzurro; Questo dodicesimo termine rientra nella categoria in cui ad esempio troviamo pink per l’inglese ma non possiamo trovare rosa per l’italiano in quanto si riferisce oltre che a un determinato colore anche a un oggetto, un fiore (Palmer 1999).

(6) Gli studi di Berlin e Kay sono stati criticati fin dalla loro pubblicazione, per lo scarso numero di lingue indagate e per lo scarso numero di collaboratori indagati per ciascuna lingua (a volte solo 1), per il fatto che gli intervistati, abitanti nell’area della baia di San Francisco, parlassero oltre alla loro lingua madre anche americano, per il fatto che non fossero state rappresentate in egual misura lingue orali e lingue scritte di tutte le zone del mondo (Cook, Kay, Rieger 2004).
Nel 1976 nacque il progetto di ricerca portato avanti da Kay e i suoi collaboratori, afferente all’Università della California di Berkeley, denominato World Color Survey (WCS) che si propose e si propone tutt’oggi di raccogliere e rendere disponibile la maggior quantità di dati sui TBC relativi a lingue orali parlate in società non industrializzate in modo che possano essere utilizzati dagli studiosi per approfondire, convalidare o sconfessare gli assunti a cui giunsero Berlin e Kay nel 1969 (Cook, Kay, Rieger 2004). Grazie al SIL (Summer Institute of Linguistics oggi SIL International), l’indagine sui TBC venne ampliata intervistando in situ collaboratori afferenti a un numero sempre maggiore di lingue «non scritte» (Cook, Kay, Rieger 2004). Il personale del SIL (ente che gestisce una capillare rete di «missionari del linguaggio» diffusa in tutto il mondo) fu dotato di un kit per effettuare gli esperimenti composto dagli stessi 329 stimoli del Munsell utilizzati anni prima da Berlin e Kay più uno stimolo ancor più bianco per un totale di 330. Il compito degli incaricati consisteva nell’intervistare in situ, per ciascun linguaggio, almeno 25 collaboratori (possibilmente monolingue) in egual misura maschi e femmine (Cook, Kay, Rieger 2004).
Il procedimento utilizzato per la raccolta dati dal WCS differisce da quello utilizzato da Berlin e Kay per quanto riguarda la naming task: inizialmente vengono mostrati all’intervistato uno alla volta, in un ordine casuale, i 330 stimoli; il soggetto dell’esperimento dovrà identificare ciascuno stimolo utilizzando il minor numero di termini con cui può nominare i colori. Sarà poi il collaboratore del WCS a esaminare i risultati estrapolando quelli che saranno definiti i TBC, secondo le norme già identificate da Berlin e Kay - vedi nota 3 (Ulteriori suggerimenti sono offerti dal WCS ai suoi collaboratori in caso di dubbio: ogni termine deve avere la stessa «distribuzione» dei TBC precedentemente individuati -SI-blu, NO-bluastro-, i vocaboli coniati di recente sono generalmente sospetti, se la monolessemicità del termine non è facilmente delineabile ci si basa sulla complessità morfologica) (Cook, Kay, Rieger 2004).
I dati raccolti dal WCS, che nel 1997 rappresentavano 110 linguaggi, sono stati analizzati ed organizzati in tabelle e grafici e dal 2003 resi disponibili online sul sito http://www.icsi.berkeley.edu/wcs/ (Cook, Kay, Rieger 2004).

(7) Jraissati, Y., 2007, Relativisme linguistique ou universalisme perceptuel? La théorie des termes basiques ou l’abandon du debat traditionel, ms. in corso di pubblicazione.

(8) Figura liberamente tratta da Palmer, S.E. (1999) Vision science photons to phenomenology, MIT Press.

(9) Jraissati, Y., 2007, op. cit.

(10) I 120 stimoli sono stati estrapolati dal Munsell composto da 330 stimoli colorati utilizzato dal WCS. Gli stimoli utilizzati sono stati quelli disposti seguendo queste coordinate: sono state usate le righe del Munsell dalla C alla H, (tralasciando, quindi, le righe alle estremità), e le colonne dispari.

(11) WCS Munsell.