
Poi si passava alla focus task che consisteva nell’indicare, per ogni raggruppamento cromatico, il campione che meglio rappresentava ciascun TBC (focus o colore focale) (Cook, Kay, Rieger 2004). Analizzando i dati raccolti attraverso questo esperimento e altri, inerenti a 78 lingue che trovarono in letteratura, Berlin e Kay giunsero alle seguenti conclusioni:
1) nonostante gli esseri umani possano discriminare tra un’amplissima varietà di colori, le lingue naturali sono caratterizzate da una terminologia cromatica che prevede da un minimo di 2 a un massimo di 12 termini (Palmer 1999)(5).
2) I TBC si sviluppano nelle diverse lingue seguendo stadi evolutivi precisi, ovvero I) Nero, Bianco, II) Rosso, III) Giallo (o Verde), IV) Verde (o Giallo), V) Blu, VI) Marrone, VII) Rosa, Viola, Grigio. Quindi se una lingua è caratterizzata da due termini base per indicare i colori saranno il nero e il bianco, se ne possiede tre saranno nero, bianco e rosso, e così via (Jraissati, 2007).
Gli antropologi riscontrarono inoltre come i colori focali, concordano per le diverse lingue mentre i colori che definiscono le frontiere di ogni categoria cromatica sono molto variabili. Le frontiere vengono definite, all’interno dello spazio del colore composto dall’ordinamento dei 329 campioni Munsell, come i limiti tra i raggruppamenti indicati nel naming task (Cook, Kay, Rieger 2004)(6).
Sulla pregnanza dei punti focali, all’inizio degli anni ’70, lavorò la psicologa cognitiva Eleanor Rosch, sottolineando, attraverso vari esperimenti sui dani della Nuova Guinea e su studenti americani, come l’apprendimento di nuove categorie di colore segua l’apprendimento delle categorie dei colori focali, come avviene nei bambini (Palmer 1999). Rosch propose di guardare ai colori focali come punti di riferimento cognitivo per le categorie di colore, in relazione ai quali gli altri colori vengono imparati e codificati nella memoria (Palmer 1999).
Nel 1975 Kay dovette fronteggiare il problema nato intorno alla cosiddetta categoria del colore «Grue», che potremmo tradurre in italiano come «Vlu», ovvero un colore che comprende il Verde e il Blu, del quale non è stato individuato il punto focale (Jraissati, 2007). Il fatto di non aver trovato il punto focale per «Vlu» portò ad interrogarsi sulla necessità dello studio delle frontiere al fine di capire i meccanismi secondo i quali nei linguaggi affiorano i TBC (Jraissati, 2007). Inoltre ci si interrogò sulla validità della sequenza evolutiva dei colori, così come delineata nel 1969, che non riusciva a comprendere il fenomeno del «Vlu» (Jraissati, 2007).
Il problema delle frontiere venne affrontato, a partire dal 1978, da Kay e Mc Daniel introducendo il concetto di insiemi fluidi dei colori al posto del concetto fino ad ora utilizzato di insiemi standard dei colori (Jraissati, 2007). Questo slittamento permise di risolvere l’enigma delle frontiere, stabilendo che un colore che in passato era stato categorizzato come «Giallo», potesse ora appartenere alla categoria «Giallo» secondo differenti livelli, al massimo dei quali corrisponde il punto focale e al minimo la frontiera. Venne introdotto inoltre il concetto di limite assoluto (Jraissati, 2007). “Il limite assoluto di una categoria è il punto che non può in nessun caso appartenere alla sua estensione, ovvero i punti focali delle categorie adiacenti”(7). Grazie al concetto di limite assoluto venne spiegata la diversa estensione dei colori nei diversi stadi di evoluzione del linguaggio: maggiore è il numero dei TBC in una lingua, minore sarà la loro estensione sullo spettro (Jraissati, 2007).
Arrivati a questo punto, per spiegare come una lingua che possiede solo 2 TBC (Bianco e Nero), arriva a nominare colori che in altri linguaggi sarebbero descritti come giallo, rosso, blu, verde, solamente come o Nero o Bianco, gli studiosi hanno preferito sostituire ai termini Nero e Bianco i concetti di Light/Warm e Dark/Cool (Chiaro/Caldo, Scuro/Freddo), chiamando queste nuove categorie categorie composite (Jraissati, 2007).

Osservando la Fig. 1, si può affermare che le categorie composite, nei linguaggi allo stadio evolutivo che presenta 5 termini, si siano scisse in categorie fondamentali (infatti troviamo i termini base Bianco, Rosso, Giallo, Nero, Verde+Blu); importante è notare come White/Warm e Black/Cool di fatto fungano da «contenitori» di quelli che sono i colori alla base della «Teoria del processo opposto» di Ewald Hering (Jraissati, 2007). “Le percezioni fondamentali che definiscono le categorie composite, fondamentali e derivate, non sono altro che Nero, Bianco, Rosso, Verde, Giallo, Blu. Ora, questi colori, spiccatamente gli ultimi quattro, non sono altro che i colori sui quali si basa il sistema dell’opposizione cromatica di Hering (Verde/Rosso - Giallo/Blu)”(9).
Nel 1991 si è arrivati teorizzare che di tutte le 63 possibili combinazioni tra i colori puri solamente 8 possano essere raggruppate sotto un unico TBC. Ciò è stato spiegato tramite il diagramma dell’apparenza dei colori, che presenta una divisione dello spazio del colore, che va dal rosso al blu, a livello del giallo (che diviene una sorta di linea di demarcazione) decretando che non possono esistere categorie composite (come ad esempio può essere Verde-Blu) formate da raggruppamenti di colori non adiacenti o formate da colori disposti a sinistra e a destra del giallo (Jraissati, 2007). Per questo motivo la categoria Rosso/Giallo/Verde non può esistere (e infatti non è mai stata riscontrata in nessun linguaggio) e nemmeno la categoria Giallo/Blu perché non comprende il Verde che nel continuum dei colori li divide (Jraissati, 2007). Ad oggi rimane però ancora incomprensibile una nona combinazione (Giallo/Verde/Blu/Nero), che si è verificata ma che non è spiegabile attraverso il diagramma dell’apparenza dei colori (Jraissati, 2007).
Il diagramma giustifica la categoria Giallo/Verde non prevista nella tabella illustrata in Fig. 1, ma effettivamente riscontrata nell’indagine empirica: come collocarla quindi nella sequenza evolutiva? Ecco un’ipotesi di collocazione (Jraissati, 2007):
- Bianco
- Rosso
- Giallo/Verde/Blu
- Nero
Proviamo a ipotizzare lo stadio evolutivo che ha preceduto questa categoria e quello che l’ha succeduta (Jraissati, 2007):

Come appena notato attraverso il diagramma dell’apparenza dei colori il Bianco per legarsi al Rosso necessita il Giallo. Quindi il problema permane: a seguito di quale tappa evolutiva emerge la categoria Giallo/Verde? (Jraissati, 2007).
Il problema troverà risoluzione in seguito ai contributi di Lyons (1999) e Levinson (2000). Lyons ha criticato alcuni assunti della linguistica contemporanea, ovvero che in ogni lingua le parole debbano avere un numero prefissato di significati e che ciascuno di questi sia precisamente individuato e individuabile (Jraissati, 2007). Applicando ciò alla Teoria dei TBC si troverebbe che un numero determinato di termini, dal significato nettamente circoscritto, non suddivide necessariamente in maniera congiunta lo spazio del colore all’interno di un linguaggio, ovvero non necessariamente i raggruppamenti cromatici di ogni TBC sono adiacenti nello spazio del colore (Jraissati, 2007).
Lo studio di Levinson riguardante la lingua yélî dnyé (linguaggio con soli 3 TBC: Bianco, Nero, Rosso) ha evidenziato come i termini yélî dnyé relativi a questi colori definiscano delle zone precise e ristrette sul Munsell, zone molto più circoscritte rispetto a quelle di altri linguaggi al II° stadio nel percorso evolutivo dei TBC, che si potrebbero trovare in linguaggi che presentano un sistema di TBC più evoluto (Jraissati, 2007). E’stato quindi ipotizzato che i TBC degli yélî dnyé vadano a identificare rispettivamente un concetto di Bianco, Nero e Rosso, più evoluto rispetto ad altri linguaggi e questo ce lo si spiega solo presupponendo l’esistenza di TBC che ripartiscano lo spazio del colore, in zone non adiacenti, circostanza ancora non contemplata all’interno della Teoria (Jraissati, 2007). Per comprendere all’interno della Teoria anche i termini che non seguono un processo evolutivo lineare bisogna presupporre che il principio di partizione del Munsell per spazi adiacenti non sia universalmente valido per tutte le lingue, andando così a minare uno dei due primi assunti di Berlin e Kay (Jraissati, 2007).
Nel 2000, con la pubblicazione dello studio sul linguaggio berinmo, una popolazione della Nuova Guinea, gli studiosi Davidoff, Davies e Robertson hanno mosso una nuova critica alla Teoria dei TBC (Jraissati, 2007). Ciò che distingue il linguaggio berinmo è il fatto di avere due termini «nol» (che equivale a una serie di verdi-blu-viola) e «wor» (che rappresenta una serie di verdi) la cui frontiera non è delineabile da nessun termine inglese (Jraissati, 2007). Da ciò si deduce che chi parla inglese è avvantaggiato quando deve discriminare tra le categorie verde e blu mentre è svantaggiato per discriminare se un colore dato è «nol» o «wor» (Jraissati, 2007), come avevano già evidenziato decenni prima Sapir e Whorf. Secondo Davidoff, Davies e Robertson, quanto emerso dal linguaggio berinmo, sarebbe la prova del relativismo del linguaggio, la prova cioè dell’inconsistenza di una Teoria che concepisce i punti focali come punti universalmente condivisi, punti a partire dai quali si vanno a delineare le frontiere tra i diversi colori. La loro radicale contro-ipotesi è che siano le frontiere tra i colori a determinare i punti focali e non viceversa (Jraissati, 2007). Se avessero ragione si dovrebbe ottenere che, delineando i punti focali a partire dalle frontiere differenti empiricamente rilevate (punti che non chiameremo più focali, ma geometrici), questi dovrebbero essere diversi per ogni lingua, circostanza che non si è verificata.
Altri studi hanno tentato di dimostrare l’universalità delle frontiere, viste come proiezioni a partire dai punti focali, studiando 4 linguaggi dell’Africa dell’ovest che hanno frontiere simili a quelle del linguaggio berinmo (Jraissati, 2007). Per fare ciò è stato elaborato un modello matematico incentrato sul fatto che i linguaggi si sviluppano a partire da 6 punti focali universali che rispecchiano i sei colori della teoria di Hering (Verde, Rosso, Giallo, Blu, Bianco, Nero) grazie al quale è stato possibile, a partire da questi 6 punti focali primari individuare le frontiere (Jraissati, 2007).
Queste ipotesi però hanno presto trovato degli oppositori, soprattutto alla luce di nuovi studi statistici. Uno studio, focalizzato appunto sul rapporto tra centro geometrico e centro focale di una determinata categoria di colore, ha sottolineato, analizzando la moltitudine di dati finora raccolti, che la dispersione dei centri focali di una data categoria di colore presente in diversi linguaggi è inferiore alla dispersione dei centri geometrici (Jraissati, 2007). Quanto riscontrato evidenzia così l’arbitrarietà dell’ipotesi di Davidoff, Davies e Robertson (Jraissati, 2007).
Nel 2006, Kay, T. Regier, A. Gilbert e R. Ivry hanno avviato uno studio per tentare di spiegare come mai, nonostante le frontiere siano molto variabili, i punti focali rilevati sono universali (Jraissati, 2007). Lo studio è partito dal fatto riconosciuto che all’emisfero sinistro afferiscono tutti i compiti legati al linguaggio. Per quanto riguarda il caso del colore ciò significherebbe che gli stimoli presentati nel campo visivo di destra (CVD), avrebbero accesso preferenziale alle funzioni dell’emisfero deputato al linguaggio (Kay, Regier, Gilbert, Ivry 2006). Gli autori dello studio citato hanno quindi tentato di stabilire:
1) Se distinguere colori che afferiscono a categorie lessicali diverse avviene più rapidamente quando gli stimoli sono presentati nel CVD e vengono quindi elaborati nell’area cerebrale che svolge funzioni linguistiche che accentuerà la differenza percettiva (Jraissati, 2007).
2) Se distinguere colori facenti parti invece della stessa categoria lessicale sia più lento e necessiterà un tempo maggiore quando questi sono presentati nel campo visivo sinistro (CVS) (Jraissati, 2007).
A seguito degli esperimenti fatti, è emerso che quando si tratta di distinguere fra colori di categorie diverse siamo più rapidi se lo stimolo è presentato nel CVD (16 millesimi di secondo in meno rispetto al CVS (Jraissati, 2007), quindi la distinzione è più veloce grazie all’apporto dell’area linguistica. Quando dobbiamo distinguere invece tra colori facenti parte della stessa categoria, se questi ci vengono mostrati nel CVD ci mettiamo in media 11 millesimi di secondo in più che se ci fossero mostrati nel CVS (al contrario delle aspettative), mentre stimoli mostrati nel CVD vengono distinti 30 millesimi di secondo più velocemente se appartengono a categorie diverse che se appartenessero alla stessa categoria (Jraissati, 2007). I dati raccolti proverebbero che nel CVD la categorizzazione dei colori di frontiera avviene attraverso categorie lessicali mentre ciò non avviene nel CVS (Jraissati, 2007).
La terminologia legata ai colori è arbitraria e convenzionale? Le differenze presenti nelle diverse lingue per quanto riguarda i termini legati al colore sono sintomo di differenze cognitive?
Riproponendo le domande chiave intorno alle quali è stata elaborata la Teoria dei TBC di Berlin e Kay (1969), poi evolutasi negli anni fino ad arrivare agli ultimi sviluppi del 2006, sembrerebbe di poter rispondere con un secco «no» alla prima e con un «sì» alla seconda (Jraissati, 2007). Sembrerebbe infatti di poter affermare che le differenze lessicali presenti nei diversi linguaggi sono causa di differenze cognitive solo per quanto riguarda la questione delle frontiere (Jraissati, 2007).
Ad oggi la Teoria dei TBC ha raggiunto uno stadio che appoggia da un lato l’universalismo linguistico, dall’altro però riconosce validità anche ad alcuni fenomeni evidenziati dai relativisti: da un lato troviamo l’universalità dei punti focali, dall’altro la relatività delle frontiere (Jraissati, 2007).
Alla luce dei risultati raggiunti nell’evoluzione della Teoria possiamo dire che la visione coinvolge elementi di carattere fisiologico universale nell’individuazione dei punti focali, mentre le frontiere sono determinate a partire da questi a seconda dell’ambiente culturale in cui cresce l’individuo.
4 commenti:
Salve ragazze! Mi chiamo Francesca, abito nel Cile e in questo momento sto corsando l'ultimo semestre di un master in Linguistica Ho preso un corso in psicolinguistica e sto facendo una ricerca sui colori focali. Prima di leggere il vostro blog pensavo di usare il world color survey per studiare dialetti dell'italiano e quando mi son messa a cercare informazione sulla web ho trovato il vostro blog. Anzitutto vi devo dire che mi é sembrato buonissimo! Nella mia ricerca voglio studiare il caso dei dialetti di Napoli, Abbruzzo e Roma, e mi piacerbbe riferirmi al vostro lavoro. Vorrei sapere se me lo permettete e poi mi piacerebbe sapere come vi piacerebbe, se mi permettete di citarvi, che lo facessi. Vi saluto aspetto la vostra risposta.
Volevo complimentarmi con voi per la qualità del post. Spero che sia un vostro lavoro accademico che avete poi riadattato per il web perchè è un'ottima divulgazione e scritta molto bene. complimenti!
Grazie mille per aver apprezzato questo lavoro!
Chiunque fosse interessato a questo lavoro può scrivere direttamente all'autrice del testo, Francesca Valentini (francesca.m.valentini@gmail.com).
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