venerdì 6 aprile 2007

Introduzione al progetto

Nell’ambito del Corso di Teorie del Colore, tenuto da R. Casati presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia durante l’anno accademico 2006-2007, gli studenti sono stati invitati ad elaborare progetti di ricerca per studiare e approfondire alcuni degli argomenti trattati a lezione.
Questo scritto si propone di presentare al pubblico il nostro progetto di ricerca, inserendolo all’interno del dibattito tra relativismo e universalismo linguistico declinato attraverso le modalità di percezione dei colori nei diversi linguaggi, nel nostro caso in tre dialetti del nord-est d’Italia: veneziano, bellunese, friulano della zona di Udine.

Come relativismo linguistico si intende la posizione di chi sostiene che ogni linguaggio possiede termini e concetti diversi, validi solo al proprio interno, né condivisi né condivisibili da individui non parlanti questo linguaggio, poiché questo è concepito come esclusivamente di matrice culturale. Il determinismo linguistico, appoggiato da alcuni relativisti tra cui spiccano E. Sapir e il suo allievo Whorf (tant’è che questa posizione prende il loro nome), considera i concetti e le loro espressioni linguistiche come univocamente determinati, ovvero che la percezione non possa estendersi al di là della terminologia: non si può percepire, né pensare, ciò che non si può nominare.
Viceversa, l’universalismo linguistico, affermato con vigore da N. Chomsky, contrappone l’idea che ogni linguaggio si sviluppa e si distingue, a seconda dell’ambiente culturale in cui cresce l’individuo, a partire da una matrice biologica universale comune a tutta la specie umana.
S. Pinker, allievo di Chomsky, sottolinea che “quando ascoltiamo o leggiamo, solitamente ricordiamo il succo, non le parole esatte, quindi dev’esserci un succo che non è la stessa cosa di una manciata di vocaboli. E se i pensieri dipendessero dalle parole, come potrebbe mai esserne coniata una nuova? Come potrebbe un bambino imparare la prima? Come sarebbe possibile la traduzione interlinguistica?”(1). Ciò significa che l’universalismo distingue i concetti (il succo) dalle parole che li esprimono: differenti parole possono indicare la stessa cosa, lo stesso concetto, lo stesso colore.

A partire dalla rivoluzione chomskyana, gli studiosi B. Berlin e P. Kay intrapresero uno studio per verificare l’esistenza di termini base, atti ad individuare i colori, al di là delle differenze linguistiche. Analizzando i dati raccolti a partire da un numero determinato di termini base per indicare i colori riscontrati in 20 diversi linguaggi, arrivarono a elaborare la loro Teoria dei Termini Base dei Colori (TBC) la quale sosteneva l’universalità dei meccanismi linguistici legati alla percezione del colore e più in generale una semantica universale dei colori (Jraissati 2007).
I due antropologi cognitivisti scoprirono la regolarità nel numero e nell’evoluzione dei TBC (da un minimo di 2 a un massimo di 12). Nel 1976 nacque il World Color Survey, un progetto di ricerca tuttora in atto, con lo scopo di verificare gli assunti di Berlin e Kay, raccogliendo dati su un grande numero di lingue non scritte (ad oggi 110).

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